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giovedì 12 marzo 2009

Implantologia: Impianti lunghi e complicanze

Si riteneva negli anni passati che il posizionamento degli impianti di lunghezza elevata portasse migliori risultati clinici a medio e lungo termine, ma queste convinzioni sono state smentite con studi in vitro ed in vivo per i quali non si evidenziano reali vantaggi: la parte coronale degli impianti lunghi rimane più stressata di quella apicale, che rimane integrata.

Nella Rivista italiana di Stomatologia, il Prof. Bacci ed il Dott. Castagna hanno studiato in due casi distinti quanto l'appiclazione di impianti lunghi può portare a complicanze. Il primo è una lateralizzazione del nervo alveolare inferiore, l'altro è il posizionamento di impianti con ancoraggio mandibolare bicorticale.

Nel primo caso si utilizza una tecnica che consente di posizionare impianti endoossei in siti mandibolari fortemente atrofici. La lateralizzazione dell'alveolare inferiore tuttavia può portare a varie complicanze neurologiche o a fratture mandibolari (rare). I 4 impianti dovevano essere rimossi perchè avevano perso completamente l'integrazione nella parte coronale, mentre erano perfettamente integrati all'apice.
Il secondo caso invece vedeva una tecnica, quella dell'ancoraggio bicorticale degli impianti, che garantisce un'ottima stabilità primaria ma che, nel caso studiato, aveva causato un riassorbimento osseo così ingente da costringere gli operatori a togliere gli impianti con una tecnica minimamente invasiva. Per questo è stata necessaria l'osteotomia con piezosurgery.

In conclusione, in implantologia, il posizionamento di impianti molto lunghi spesso dà come conseguenza il fallimento a livello coronale mentre la parte apicale dell'impianto si integra alla perfezione.
Il piezosurgery s'è dimostrato indicato per la rimozione degli impianti permettendo una linea osteotomica precisa e garantendo il rispetto delle strutture nervose.
Quindi è evidente che l'impiego di impianti lunghi può causare diverse problematiche senza dare reali vantaggi.



Tratto da: Rivista Italiana di Stomatologia - N°3 anno 2008

Il paziente diabetico


Il diabete mellito è un gruppo di malattie metaboliche caratterizzate da iperglicemia causata da difetti della secrezione d'insulina, della sua azione o entrambi.
La diagnosi di diabete è possibile a seguito del riscontro di almeno una delle seguenti condizioni:
- Glicemia a digiuno > 140 mg/dl
- Glicemia durante il giorno > 200 mg/dl
- Glicemia > 200 mg/dl con test di tolleranza al glucosio.
I sintomi sono poliuria, polidipsia e perdita di peso senza causa apparente. Esistono il diabete tipo 1 ad esordio giovanile ed il diabete tipo 2 non insulino-dipendente, che ha esordio tardivo nell'adulto.

In odontoiatria, le cure attuabili per un paziente diabetico possono essere l'igiene e la profilassi, la conservativa, l'endodonzia, la protesi, l'ortodonzia, mentre la chirurgia orale e l'implantologia sono da eseguire con cautela. Come? Seguendo alcune precauzioni.
- Contattare il medico curante per avere maggiori informazioni;
- Avere un glucometro per misurare la glicemia prima dell'intervento e, in caso di clisi ipoglicemica, somministrare glucosio;
- Programmare l'intervento in prima mattinata dopo la colazione e l'assunzione dei farmaci, per evitare una crisi ipoglicemica;
- Considerare che l'adrenalina rilasciata in interventi del genere fa diminuire la glicemia;
- Considerare che l'adrenalina della tubofiala non fa diminuire la glicemia;
- Prescrivere terapia antibiotica sistemica prima e dopo l'intervento;
- Informare il paziente che, nel caso di interventi chirurgici complessi, potrebbero verificarsi episodi nel periodo postoperatorio per i quali dovrà modificare la dieta e di conseguenza il tipo di terapia.

Durante un intervento odontoiatrico possono verificarsi ipoglicemia o iperglicemia, di cui potete trovare maggiori informazioni qui:
- Ipoglicemia
- Iperglicemia
E che si curano somministrando glucosio nel primo caso ed effettuando un'infusione salina per reidratare nel secondo.

Ortodonzia: Arco sezionale semplificato per i canini superiori palatizzati

E' possibile trovare denti che vanno fatti muovere in strati di osso denso, per i quali è indispensabile l'uso di forze leggere per ridurre l'attività degli osteoclasti ed evitare la riduzione del flusso sanguigno.
Applicando delle piccole legature elastiche ad un canino atopico, è possibile muoverlo, sì, ma le forze potrebbero risultare troppo elevate che provocano spostamenti insignificanti o addirittura non provocano alcuno spostamento. Invece, l'uso di un arco rigido tende a costringere gli altri denti e non riesce ad allineare il canino.

Per ovviare a questi problemi, si può bandare i primi molari superiori ed unirli con una banda transpalatale: si salda un tubo sulla banda del lato sul quale bisogna allineare il canino e, dopo aver fissato con un piccolo occhiello il canino, si costruisce un arco sezionale col filo.
Il gancio permette il fissaggio del canino mentre la spirale all'uscita del tubo ne incrementa elasticità e raggio d'azione; l'arco, distalmente, è curvo verso l'indietro, in modo da poter essere sia rimovibile che riattivabile, ma permette anche di prevenire qualsiasi disalloggiamento.

Questa applicazione dell'ortodonzia ha ormai dimostrato la sua validità ma a volte l'arco rigido può diventare necessario nel caso si voglia aumentare torque e upright della radice del canino.
Possiamo anche applicare alcune modifiche, tra le quali:
- favorire l'eruzione del canino attivando sezionalmente la parte distale;
- utilizzare una trazione con l'aggiunta di un secondo tubo per mantenere o creare spazio;
- correzione della rotazione dei molari con l'uso di quad-elix.



Tratto da: Bollettino Leone 04/2007

lunedì 9 marzo 2009

La stabilità implantare

La stabilità di un impianto è determinante per la riuscita del trattamento implantare, specie se la riabilitazione avviene secondo la procedura di carico immediato.
Nell'articolo della rivista Implant Tribune Italia, il dottor Vanden Bogaerde definisce i criteri che determinano il successo di un trattamento implantare.

Prima fra tutte, le condizioni dell'osso alveolare: la quantità in senso verticale e orizzontale dell'osso va sempre verificata, ma anche la qualità di quest ultimo è importantissima per la riuscita della terapia. E' importante infatti trovare una qualità d'osso che possa non essere troppo compatta ma neanche troppo midollare.
Altre condizioni che determinano il successo o l'insuccesso sono senza ombra di dubbio una corretta guarigione che porta all'osteointegrazione e questo è possibile anche grazie alle nuove superfici implantari ruvide che permettono anche di eseguire una protesizzazione a carico immediato (con l'obbligo però di stare molto attenti nel seguire rigorosamente il protocollo operativo).
Infine, l'igiene orale è l'ultima determinante per la riuscita del trattamento implantare.

La stabilità primaria è garantita innanzi tutto dalla morfologia dell'impianto. Diversi studi ad esempio hanno dimostrato la maggior stabilità di impianti con fixture di forma conica anzichè cilindrica, mentre non ha particolare rilevanza la superficie implantare se non nelle settimane successive all'inserimento dell'impianto: è preferibile infatti utilizzare superfici implantari ruvide che favoriscono una miglior osteointegrazione.

La stabilità secondaria invece si viene a verificare nelle settimane successive, quelle in cui si verificano tutti quei fenomeni infiammatori e processi di riassorbimento osseo che danno luogo ad un lento processo di osteointegrazione.



Tratto da: Implant Tribune Italia - N° 3 - Settembre '08

Terapia parodontale non chirurgica

La terapia parodontale non chirurgica ha come obiettivo principale quello di provare a far guarire il parodonto senza fare interventi di chirurgia parodontale.

I cardini della terapia parodontale non chirurgica sono l'educazione del paziente ad una corretta igiene orale e la levigazione radicolare. Ci sono degli studi che testimoniano come sia sufficiente una rimozione costante della placca radicolare per ridurre di molto la profondità di sondaggio delle tasche parodontali. Sono inoltre significativi anche i risultati che si ottengono anche dopo una singola strumentazione radicolare sulla composizione della flora batterica subgengivale.

I parametri misurabili per valutare l'efficacia di una terapia parodontale sono:
1) Livello di attacco clinico.
2) Profondità delle tasche.
3) Sanguinamento al sondaggio.
4) Flora microbica subgengivale.
Gli studi fatti dimostrano che, nonostante la chirurgia parodontale sia preferibile per ottenere risultati a breve termine, su lunghe distanze di tempo i risultati di una terapia parodontale non chirurgica diventano quasi uguali a quelli di una terapia chirurgica. Quasi tutta la letteratura è concorde su questo.

C'è da ricordare, inoltre, che nelle tasche con profondità di sondaggio > 7mm è più facile ottenere una riduzione della profondità rispetto a quelle < 3mm, in cui si riscontra sempre una certa perdita di attacco.



Tratto da: Rivista Italiana di Stomatologia - n° 4 anno 2008

sabato 7 marzo 2009

Terapia farmacologica della parodontite

La parodontite nasce per una serie di cofattori di cui, come abbiamo visto, solo due sono di fondamentale rilevanza: i batteri ed il sistema immunitario dell'ospite. Per questo è possibile utilizzare sostanze antimicrobiche sia per via sistemica che topica.
L'antibiotico, nel caso di malattia parodontale, deve essere presente sia nei tessuti che a livello delle tasche parodontali, e questo tipo di trattamento non può prescindere dalle fasi iniziali della terapia parodontale, vale a dire scaling e root planing.

AGENTI ANTIMICROBICI SISTEMICI
Si rivelano molto efficaci soprattutto nei casi di gengivite ulcero necrotica avanzata o di parodontite refrattaria, in pazienti in cui la malattia parodontale è particolarmente estesa (es: pazienti affetti da AIDS).
Si utilizzano diversi antibiotici tra cui: amoxicillina, metronidazolo, tetraciclina.
Tuttavia, è difficile capire quale sia la terapia corretta visto la difficoltà nel localizzare l'agente infettivo responsabile della parodontite.
Vi sono molti studi, effettuati da medici come Winkelhoff e Coll. e come Haffaje e coll, in cui viene dato peso rilevante all'amoxicillina associata a metronidazolo e tetraciclina per combattere un range di specie batteriche considerate tra le più comuni della malattia parodontale.

TERAPIA ANTIMICROBICA LOCALE
Alcuni autori pensano che una terapia sistemica sia eccessiva e possa portare effetti collaterali, ma soprattutto che solo una minima parte dell'antibiotico raggiunga le tasche.
Meglio quindi optare per terapia locale, in cui si utilizzano fibre di tetraciclina e metronidazolo gel.
Soprattutto il secondo è molto efficace verso alcune delle specie batteriche più comuni, viene assorbito dalla mucosa e rilasciato lentamento per 24h.

Malattia parodontale e parodontite

La malattia parodontale è costituita da un gruppo di patologie che ha come primo colpevole l'accumulo di placca batterica, che sfocia poi in un processo distruttivo del parodonto che si traduce nella perdita dell'attacco parodontale e nel riassorbimento osseo. Le cause fondamentali sono due:
- I batteri patogeni;
- Il sistema immunitario dell'ospite.
Infatti, la malattia parodontale si può classificare ulteriormente come gengivite o parodontite a seconda dello stato e dell'estensione dell'infiammazione.
Si passa infatti da una lesione gengivale iniziale, in cui si ha un infiltrato infiammatorio in seguito all'instaurarsi della placca per almeno 24h, ma senza sintomatologia sulla gengiva. Quando la lesione gengivale diventa precoce, vale a dire dopo 7 gg dalla permanenza di placca, aumenta l'infiltrato infiammatorio e il margine gengivale comincia a calare leggermente. Infine la lesione si stabilizza circa dopo 28 gg ed è questo il momento in cui si ha la manifestazione di tutti i fenomeni infiammatori. Questa fase è considerata anche come fase prodromica della parodontite.

La parodontite si manifesta quando l'infiammazione arriva a coinvolgere legamento e osso alveolare, che si riassorbe e quindi fa venire meno il supporto alle radici.
Esistono diversi tipi di parodontite:
- Parodontite cronica;
- Parodontite giovanile;
- Parodontite aggressiva;
- Parodontite ulcerativa necrotizzante;
- Parodontite associata a malattie sistemiche;
- Parodontite refrattaria.
Secondo gli studi, la parodontite è collegata solamente ad una piccolissima parte delle oltre 400 specie batteriche che colonizzano il cavo orale, ed il processo infettivo avviene solo quando si verificano eventi di associazione che determinano una risposta immunitaria insufficiente, da cui deriva la malattia parodontale che però dovrebbe poi poter essere eliminata con l'eliminazione dell'agente patogeno.

Quindi si capisce che, secondo i più recenti studi di parodontologia, il manifestarsi della malattia parodontale non dipende solo dall'esistenza di alcuni ceppi patogeni, ma anche di una serie di circostanze che tendono a favorirne l'insorgenza.



Articolo tratto dal numero 4, anno 2008 della Rivista Italiana di Stomatologia.

venerdì 6 marzo 2009

Trattamento endodontico con MTwo®


Fin dall'introduzione della tecnica crown down e degli strumenti in Ni-Ti s'è sempre cercato di rendere più efficace il loro taglio e di giungere a valori di conicità più elevati di .02.
Gli ultimi arrivati nel panorama dell'endodonzia sono gli strumenti MTwo®, caratterizzati da un'innovativa sequenza di diametri e conicità in punta:
10/.04, 15/.05, 20/.06, 25/.06.

Grazie a questi quattro strumenti, che sono la base, si può effettuare una preparazione a conicità finale di .06.
Li troviamo in due lunghezze diverse, 21 e 25, ed hanno queste caratteristiche peculiari:
- Massima ampiezza degli scarichi
- Riduzione al minimo del punto di contatto radiale
- Due taglienti
- Lame molto affilate
- Passo crescente in direzione distale
- Punta arrotondata
- Gambo per contrangolo con testina piccola
Il particolare disegno delle lame conferisce una particolare capacità di taglio unita alla capacità di percorrere le curve del canale senza tendere a raddrizzarsi. Gli ampi spazi tra le spire consentono una miglior rimozione del materiale patologico e, grazie alle misure in punta e alla particolare successione della conicità, allo strumento è possibile seguire al meglio le curvature insieme ad incredibili doti di sondaggio.
Ad oggi, per via della sua piccola dimensione in punta, gli MTwo
® sono gli unici strumenti che permettono di effettuare il trattamento endodontico senza l'utilizzo di strumenti manuali atti ad allargare preventivamente il canale. Infatti, partendo dallo strumento con minor diametro in punta e andando via via a preparare il nostro "cono" secondo la tecnica crown down, otteniamo una conicizzazione graduale del canale, l'eliminazione di ostacoli nel tragitto fino a che non riusciremo a sondare alla perfezione la lunghezza di lavoro.

In cosa si differenziano gli MTwo
® dagli altri strumenti in Ni-Ti presenti sul mercato?
Essi consentono di effettuare una preparazione solo ed esclusivamente meccanica.
Nelle preparazioni miste tradizionali il momento di usare gli strumenti in Ni-Ti arriva dopo che il canale è stato preparato manualmente, con una sequenza ridotta rispetto alle preparazioni tradizionali, ma pur sempre importante.
La prima fase manuale nella preparazione con altri strumenti viene utilizzata per ovviare alle difficoltà di progressione che gli stessi strumenti Ni-Ti a conicità aumentata
presentano nell’alesare un canale sottile e curvo (questo perchè hanno un diametro della punta che generalmente è di 20 o 25).
Una volta allargato sufficientemente il canale, si passa quindi alla strumentazione meccanica.
Dopo aver portato un 20 o addirittura un 25 manuale in apice, particolarmente in un canale stretto e tortuoso, gran parte della mia preparazione sia già stata eseguita; e buona parte del tempo lo si impiega proprio in questa fase.
Ma con gli MTwo® i tempi vengono ridotti drasticamente, e questo proprio per via della loro diversa conicità e del loro diamentro in punta minore a qualsiasi altro strumento in Ni-Ti presente sul mercato.

Da provare.




Tratto da: AmicidiBrugg.it

COLLABORA CON NOI

Il blog Odontoiatria Online ricerca collaboratori per poter inserire articoli strettamente pertinenti all'Odontoiatria.

Permettiamo a chi vuole inserire articoli di poterlo fare in maniera totalmente gratuita riguardanti i seguenti argomenti:

- Odontoiatria generale;
- Chirurgia Orale;
- Implantologia;
- Endodonzia;
- Parodontologia.

Se vuoi collaborare, lascia un commento a questo articolo con la tua e-mail. Verrai contattato quanto prima.

Grazie.

Endodonzia: la tecnica Crown Down

Il successo di un trattamento endodontico dipende in larga misura dalla qualità del sigillo che noi riusciamo a fare con le nostre otturazioni canalari nello spazio endodontico che preventivamente è stato deterso e preparato a misura di terapia.

Seguendo una serie di passaggi è possibile prevedere un buon risultato del trattamento endodontico:
- La cavità d'accesso, se ben fatta, garantisce un accesso completo al sistema dei canali radicolari.
- E' importantissimo che la forma della preparazione sia progressivamente conica, pena l'instaurarsi di punti a forma di clessidra che lasciano spazi in senso apicale che non sono detergibili e che non permettono di sfruttare al meglio il sistema di forze applicato sulla compressione della guttaperca.
- La rimozione della dentina solo in zone prestabilite permette di ottenere una riduzione della risposta elastica e quindi di far lavorare meglio li strumenti.
- Bisogna cercare di favorire la conservazione delle strutture nelle parti anatomiche più delicate come la zona periapicale.

Per soddisfare questi parametri è necessario stare attenti sempre alla forma del cono che noi andiamo a preparare. Secondo la tecnica di Schilder il canale di partenza doveva essere delle minime dimensioni utili, ma l'utilizzo dell'epoca degli strumenti in acciao permetteva solo un approccio di tipo step-back.

Negli anni successivi venne invece introdotta la tecnica della preparazione in senso corono-apicale, che era l'esatto opposto delle tecniche ideate da Schilder, preparando utilizzando gli strumenti più piccoli per poi consentire il passaggio a quelli di diametro maggiore.
I K-File dovrebbero infatti introdursi fino a dove lo strumento arriva, evitando le forzature in direzione apicale.
Secondo queste tecniche la lunghezza di lavoro non viene determinata in vari passaggi, ma dopo la preparazione definitiva avremo la reale lunghezza di lavoro. Invece, secondo le tecniche step-back era necessario controllarla quasi ad ogni passaggio.

Pian piano questo modo di lavorare è diventata la prassi, e con l'introduzione degli strumenti in nichel titanio la tecnica Crown Down si è rivelata utile anche per creare quell'effetto serbatoio a livello coronale utile all'operatore per detergere meglio.



Tratto da: Amicidibrugg.it

Fumo ed Implantologia

Il fumo sembra provochi una serie di problemi in cavo orale, quali disturbi parodontali, perdita di osso, di denti, di tessuti, periimplantite e non ultimo perdita di impianti endoossei. Ma la letteratura è molto contrastata perché negli articoli che vengono pubblicati, lo screening dei pazienti che vengono sottoposti a terapia implantare che viene fatto in base al fumo, varia da 0 a 5, a 10, fino a 20 sigarette al giorno che, per la salute di un individuo, rappresentano una differenza rilevante; il fumo della pipa sembra essere ancora peggiore per i problemi che provoca al palato.

Periimplantite: infiammazione della mucosa e tasche parodontali intorno agli impianti; i fumatori sono più soggetti che i non fumatori a questo tipo di problema; la periimplantite, se non trattata, può portare alla perdita dell'impianto. Se il paziente smette di fumare, ci sarà un miglioramento nel risultato del trattamento implantare.

Se il paziente smette di fumare 3-4 settimane prima di posizionare gli impianti e non fuma durante il periodo di guarigione, migliorerà la prognosi.





Tratto da: Odontostudio.net

Il problema della periimplantite | Articolo tratto da COIR

Proponiamo qui di seguito un articolo tratto dalla rivista COIR riguardante il problema spinoso della periimplantite

In questa trattazione il dott. Eugenio Romeo di Milano espone con chiarezza la tematica, proponendo un protocollo diagnostico-terapeutico applicabile alle diverse situazioni cliniche che si possono presentare. Riteniamo la classificazione, l'analisi dei risultati ottenuti e l'iconografia dell'articolo utili per tutti i professionisti che si dedicano all'implantologia e che, di conseguenza, devono saperne riconoscere ed affrontare con successo i limiti e gli ostacoli.

L'articolo, in inglese, è scaricabile dal link sottostante:

Successo del trattamento implanto-protesico

L'intervento d'implantologia ha successo quando l’impianto si integra nell’osso e la protesi viene correttamente costruita e rimane stabile e funzionante nel tempo.
L’osso di sostegno degli impianti va incontro ad un fisiologico riassorbimento di circa 0,2 mm l’anno. In odontoiatria tutti i successi hanno un termine temporaneo e questo è dovuto ai meccanismi di usura dei manufatti protesici e dei materiali che si trovano all’interno del cavo orale. Quando determinate condizioni sono soddisfatte, come protesi adeguata, igiene perimplantare e controlli periodici, otteniamo, e possiamo prevederlo, un successo impiantare valutabile a 15-20 anni.

Questo risultato però deve essere mantenuto con un’ottima igiene orale, per evitare che i batteri della placca vadano a depositarsi intorno all’impianto e determinino sofferenza e perdita dell’osso di sostegno. La radice artificiale impiantata patisce gli effetti della placca batterica non meno di un dente naturale. Pertanto i controlli devono essere periodici nel tempo ed effettuati dal medico implantologo. L’impianto a differenza dei nostri denti naturali non fa male, e quindi i sintomi di eventuali infezioni ed infiammazioni possono passare inosservati e non essere avvertiti dal paziente se non quando diventano importanti. I controlli periodici, quindi, quando tutti gli altri fattori sono soddisfatti, servono a preservare e ad allungare la vita di un impianto avvicinandola a quella di un dente naturale.



Tratto da: Odontoclinic.it

Implantologia estetica dentale

La perdita degli elementi dentari rappresenta senza eccezione un evento preoccupante, un incubo ricorrente, un momento luttuoso. L’uomo da sempre ha sognato di non perdere mai i propri denti. I pionieri dell’implantologia fin dai primi anni del Novecento hanno cercato di “ricreare” i denti persi, nonostante i limiti dei materiali allora disponibili. Con l’implantologia osteointegrata la perdita di uno o più elementi dentari non costituisce più un problema permanente.
L’implantologia estetica dentale del nuovo millennio assicura risultati ottimali sia estetici che funzionali. Il trattamento implanto-protesico è un presidio chirurgico che consente la sostituzione di un dente singolo, di più denti, oppure dell'intera dentatura. L’impianto o fixture è una struttura in titanio che rimpiazza funzionalmente la radice di un dente mancante. Il titanio è un metallo biocompatibile che non comporta reazioni da parte dell'organismo, ovvero non provoca alcun fenomeno di rigetto. L’impianto ha forma cilindrica o cilindro-conica con una sottile filettatura di lunghezza e diametro variabili, impiegati secondo le esigenze riscontrate in sede di diagnosi. Gli impianti dentali vengono inseriti nelle aree edentule dell’osso alveolare di mascella o mandibola.

Dopo un periodo di guarigione, l'unione tra osso e impianto è definito osteointegrazione, che consiste in una connessione strutturale e funzionale tra osso e impianto. Il risultato finale del trattamento implanto-protesico è quindi la realizzazione di denti che appariranno esteticamente e funzionalmente simili a quelli naturali. Al di là della realizzazione di uno o più denti singoli, gli impianti osteointegrati possono essere utilizzati come supporto protesico per ponti oppure per stabilizzare protesi totali fisse o mobili (overdenture).

Continua...



Articolo tratto da: Odontoclinic.it

Diagnosi della malattia parodontale

E’ opinione diffusa che contro la malattia parodontale, che causa la mobilità e la perdita dei denti, vi sia poco da fare e che sia normale soffrirne se lo stesso è avvenuto ai propri genitori o se si è in particolari momenti della vita, come in gravidanza.
In realtà i disturbi delle gengive e dell’osso sottostante possono essere prevenuti e controllati. Sono indicati come malattia parodontale o parodontopatie poiché colpiscono il parodonto, ossia l’insieme delle strutture che circondano il dente e lo mantengono saldamente attaccato all’osso.

I segnali che possono farci insospettire sull’eventualità di soffrire di malattia parodontale sono diversi:
- Gengive arrossate e gonfie;
- Uno o più denti appaiono allungati perché il margine gengivale si è ridotto;
- Gengive che sanguinano se stimolate (durante lo spazzolamento) o spontaneamente mangiando cibi duri;
- Fastidio o indolenzimento delle gengive o dell’osso sottostante;
- Sensibilità dei denti al freddo o al caldo;
- Cattivo odore o sapore nel cavo orale;
- Mobilità dentaria.

La malattia parodontale inizia generalmente quando i batteri contenuti nella placca e nel tartaro infettano le gengive (gengivite). Questa prima fase è reversibile.
Se non curata, però, l’infezione procede in profondità. La gengiva si distacca dal dente creando tasche di difficile detersione in cui i batteri si accumulano. A questo punto comincia ad essere interessato il tessuto di sostegno e stabilizzante del dente, cioè l’osso, che si retrae verticalmente o orizzontalmente causando la mobilità dentaria fino alla perdita dell’elemento colpito.
Da ricordare che, tra i fattori conosciuti aggravanti le parodontopatie, un posto rilevante è occupato dal fumo.

Esistoni diversi trattamenti per la cura delle parodontopatie: si parte da quelli più semplici non chirurgici, per arrivare nei casi gravi a quelli chirurgici. La terapia parodontale si svolge attraverso:

1. DETRARTRASI E LEVIGATURA RADICOLARE. Si tratta della rimozione della placca batterica e del tartaro dai denti, sopra e sotto il livello della gengiva, con strumenti ad ultrasuoni ed a mano. Eliminate le cause della malattia, l’infiammazione gengivale regredisce e la gengiva, levigando le radici dei denti, può tornare ad aderirvi in modo più saldo. Tali trattamenti vanno ripetuti regolarmente nel tempo ad intervalli variabili da caso a caso.
2. CORREZIONE DEI RESTAURI NON IDONEI. La presenza di otturazioni e protesi scorrette può facilitare la ritenzione di placca, per questo le stesse devono essere modificate o sostituite.
3. CORREZIONE DELL’OCCLUSIONE. Se scorretta, l’occlusione, ovverossia il modo in cui i denti superiori ed inferiori ingranano tra loro, può aggravare la perdita di supporto osseo. Il trattamento parodontale può prevedere la correzione dei contatti tra l’arcata superiore ed inferiore, o l’uso di apparecchi mobili a protezione dei denti, chiamati BITE
4. SPLINTING. Consiste nel collegare fra loro i denti mobili contigui in modo da renderli reciprocamente più stabili (l’unione fa la forza). Può essere effettuato cementando sulle superfici linguali, del filo in acciaio rigido ed opportunamente modellato; tale soluzione presenta però il difetto della scarsa affidabilità e durata nel tempo. Ben più affidabili, duraturi, ed anche esteticamente e funzionalmente migliori del filo, sono i bloccaggi dentali eseguiti collegando fra loro delle corone in metallo-ceramica cementate sugli elementi dentari malati. Ovviamente lo splintaggio presuppone sempre il contemporaneo controllo della malattia parodontale.
5. INTERVENTI CHIRURGIGI. Sono riservati ai casi gravi di parodontopatie e permettono di correggere difetti ossei o gengivali, o di rigenerare, in casi specifici, porzioni di osso andate perdute. Spesso è necessario estrarre i denti ormai irrecuperabili per salvare gli altri. Sono di vario tipo e vanno dagli interventi di levigatura e “cielo aperto” (ossia con gengiva scollata dall’osso), agli innesti ossei, all’applicazione di membrane per rigenerazione ossea, agli split crest, e così via. Sarà ovviamente l’odontoiatra a decidere la loro necessità e il tipo di intervento.




Tratto da: Odontoiatria.com

Gli Omega 3 e la prevenzione della malattia parodontale

L'integrazione della dieta con acidi grassi Omega 3 potrebbe essere un utile ausilio non solo per il trattamento della malattia parodontale, ma anche per la sua prevenzione.

Un riassunto degli studi effettuati alla facoltà di Odontoiatria dell'Università del Kentucky a Lexington recita infatti le seguenti parole, in un articolo pubblicato sulla rivista odontoiatrica Journal of Dental Research.

L'inflammazione gengivale ed il riassorbimento dell'osso alveolare sono i segni obiettivi della malattia parodontale, nata in risposta all'invasione del parodonto di germi e batteri, principalmente Porphyromonas Gingivalis. Lo studio parte dall'ipotesi che l'integrazione con acidi grassi poliinsaturi del tipo Omega 3 potrebbe modulare l'infiammazione parodontale in alcuni ratti infetti da Pophyromonas Gingivalis.

I caratteri dei loro studi si sono rivolti per 22 settimane ad un campione di ratti trattati con l'olio di pesce ricco di Omega 3 ed un secondo campione che invece non veniva trattato con gli Omega 3. I rattii del primo campione, trattati con Omega 3, hanno migliorato i sintomi con l'aumento dell'acido eicopentaenoico (EPA) e dell'acido decosaesanoico (DHA) a riprova della loro integrazione alimentari con acidi grassi Omega 3.

L'analisi batteriologica ha accreditato ancora la presenza dei batteri Porphyromonas Gingivalis, seguita però dalla comparsa di nuovi elevati tassi di anticorpi IgG rispetto al gruppo non trattato. Inoltre, è stato notato come i ratti infetti dai batteri e trattati con Omega 3 avessero in effetti un riassorbimento dell'osso alveolare molto minore rispetto all'altro campione di ratti.

Per questo, gli autori propongono un'integrazione alimentare con acidi grassi Omega 3 non solo per agevolare la terapia parodontale ed il trattamento della parodontite, ma anche come mezzo per cercare di fare prevenzione contro la malattia parodontale.


Articolo tradotto dal sito: Biodenth.be

Malattia parodontale: quali sono i fattori di rischio?

Le attuali conoscenze riguardo l'eziologia e la patogenesi della malattia parodontale evidenziano come tali disordini infettivo-infiammatori siano causati primariamente dai batteri. La forma non destruente di malattia parodontale, la gengivite, risulta clinicamente e sperimentalmente dall'accumulo di placca batterica sulle superfici dentarie adiacenti la gengiva, si manifesta nello sviluppo di un processo infiammatorio nei tessuti gengivali, mentre si risolve in seguito alla rimozione meticolosa della placca.

Gli studi epidemiologici hanno mostrato, tuttavia, che la forma destruente di malattia parodontale, la parodontite, pur condividendo il fattore eziologico batterico e pur essendo spesso preceduta da una manifestazione più o meno eclatante di gengivite, è caratterizzata da molti aspetti delle patologie ad eziologia multifattoriale, con manifestazioni e progressione variabile da persona a persona, da dente a dente e da sito a sito in relazione a molteplici fattori, comportamentali, sociali, ambientali, fattori sistemici e genetici, fattori microbiologici, fattori locali.

La complessità eziopatogenetica della parodontite comporta dunque che la sua prevalenza nella popolazione sia più bassa della gengivite, cui sono soggetti tutti gli individui in seguito all'accumulo di placca, e che la sua gravita vari notevolmente tra gli individui.
In un classico studio longitudinale su una popolazione di lavoratori delle piantagioni di thè in Sri Lanka, non trattata punto di vista odontoiatrico e con scarsa igiene orale, Loe et al (1986) osservarono un'enorme variabilità tra gli individui riguardo alla progressione della parodontite. Mentre l'81% della popolazione aveva una progressione moderata e l'11% nessuna progressione della parodontite, l'8% veniva descritto come colpito da una rapida progressione durante un periodo di follow-up di 15 anni. Altri studi longitudinali hanno mostrato che esistono sottogruppi di pazienti con predisposizione variabile alla progressione della malattia anche nelle popolazioni trattate dal punto di vista parodontale (Hirscfield & Wasserman 1978).

Gli autori studiarono 600 pazienti sottoposti a trattamento parodontale e mantenimento per un periodo medio di 22 anni, valutando il numero di denti persi durante il follow-up. L'83% dei pazienti perse meno di 3 denti, il 12.6% dei pazienti perse da 4 a 9 denti e il 4.2% dei pazienti, nonostante i frequenti richiami parodontali perse più di 10 denti, mostrando una risposta estremamente scadente alla terapia parodontale.
È possibile quantificare la "suscettibilità" ad ammalare di una forma destruente di malattia parodontale che conduce alla perdita di supporto del dente?
È dunque possibile disegnare il profilo del paziente a rischio per la parodontite?

La conoscenza dei diversi fattori che influenzano la risposta dell'organismo all'attacco microbico, sulla base dei dati disponibili in letteratura, può consentire al clinico di modulare individualmente la terapia, la frequenza e la tipologia dei trattamenti ed inoltre di formulare una prognosi più accurata. La valutazione del rischio individuale può consentire di evitare, ridurre o gestire gli effetti legati al fattore di rischio, così diventando parte integrante del piano di trattamento.



Tratto da: I fattori di Rischio della Malattia parodontale
Autori: Nastri L. - Caruso F.

Estetica in Implantologia

La posizione della linea del sorriso deve essere considerata fin dalla prima visita. A tutt’oggi la protesi su impianti non ha la stessa prevedibilità estetica della protesi tradizionale in particolare quando la morfologia della cresta ossea impone il ricorso a tecniche di ricostruzione ossea come la rigenerazione ossea guidata o gli innesti ossei. Per tutti i restauri anteriori la tipologia di sorriso ( più o meno gengivale) può o meno far considerare il paziente come un paziente "a rischio" da un punto di vista delle sue aspettative estetiche.

In ogni caso con una corretta progettazione che prevede prima l’aumento dell’osso tramite procedimenti di rigenerazione guidata e poi eventualmente aumenti estetici di tessuto molle sarà possibile rendere il risultato implantare molto più predicibile da un punto di vista estetico. In base all’anatomia crestale (dell’osso) può essere necessario un aumento del tessuto duro per consentire il corretto posizionamento dell’impianto e/o dei tessuti molli periimplantari, per favorire poi la rigenerazione delle papille .

A seconda della linea del sorriso e di quanto il paziente scopre la gengiva, e a seconda delle necessità e aspettative del paziente, per ottenere un risultato finale accettabile può essere necessario ricorrere ad un intervento in più fasi.

Nel mascellare inferiore edentulo, a causa della presenza dei nervi alveolari, è sovente necessario posizionare gli impianti tra l’emergenza dei due nervi costruendo al di sopra di questi pilastri una protesi avvitata dotata di due estensioni laterali relativamente lunghe.
Questa protesi a palafitta può inizialmente riscuotere da parte del paziente critiche di ordine estetico anche se in pratica, la zona della cresta alveolare mandibolare in cui si trovano gli impianti è difficilmente visibile anche durante I massimi movimenti labiali. In molti casi questo difetto è correggibile mediante l’applicazione di un’epitesi gengivale, ossia di una gengiva artificiale per lo più in ceramica rosa che riempie quasi completamente lo spazio dovuto al riassorbimento osseo e restituisce un certo sostegno ai tessuti periorali (labbra e zona intorno al labbro).



Tratto da: Implantologia.net

Chirurgia rigenerativa guidata

Per chirurgia rigenerativa guidata intende normalmente con questo termine la ricostruzione di perdite ossee con l’impiego di apposite membrane e viene applicata in implantologia endoossea in presenza di perdite ossee primarie o secondarie all’inserzione dell’impianto. E’ possibile procedere in due fasi o in una sola fase.

Procedimento bifasico: si cerca di ottenere con l’applicazione delle membrane una disponibilità ossea sufficiente per l’ancoraggio degli impianti, in un secondo tempo si procede ad incorporare l’impianto nel tessuto osseo rigenerato
Procedimento monofasico: si applicano le membrane per aumentare la quantità di osso disponibile e contemporaneamente si applica l’impianto.

In caso di ridotta disponibilità ossea secondaria si applicano le membrane per realizzare l’ossificazione della perdita ossea periimplantare al fine della ri-osseointegrazione nell’ambito di un trattamento di periimplantite.

Tecnica GBR (guided bone rigeneration)Schema dell’intervento di posizionamento dell’impianto e successivamente della membrana che induce al suo interno abbondante rigenerazione ossea.

Il midollo osseo è il sito di provenienza delle cellule che hanno la funzione di formare nuovo osso. Il nutrimento e l’ossigeno vengono veicolati dai vasi sanguigni che passano dal midollo osseo nel coagulo sanguigno presente nella zona della perdita ossea.
Il coagulo è in pratica una matrice "OSTEOCONDUTTIVA" in cui si DIFFERENZIANO GLI OSTEOBLASTI ossia le cellule formatrici di osso. Se si separa questa zona dal tessuto molle (connettivo) circostante attraverso una "membrana", al di sotto di essa si verificherà una normale osteogenesi .
Per sostenere la membrana, che dovrà comunque essere fissata da apposite viti, si stabilizza il coagulo utilizzando osso autologo (proveniente dal paziente) in cui sono presenti tra l’altro importanti fattori di crescita, addizionato di osso decalcificato e liofilizzato o di idrossilapatite.



Tratto da: Implantologia.net

Parodontologia | La patologia e la clinica della malattia parodontale


Questo testo di Parodontologia che vi propongo ha la finalità di esporre le più recenti acquisizioni in tema di eziopatogenesi, diagnosi e terapia della malattia parodontale, dando ampio spazio alla iconografia che ne accentua fortemente il valore didattico.
L’evoluzione delle conoscenze in Parodontologia in questi ultimi anni è strettamente legata alla ricerca biologica in tema di eziologia batterica, predisposizione genetica e patogenesi immunitaria della malattia parodontale, significato dei parametri diagnostici e meccanismi di guarigione della ferita parodontale.

La classificazione delle gengiviti e delle parodontiti, profondamente modificata rispetto al passato, si basa essenzialmente su criteri eziopatogenetici, ed è ancora in evoluzione.
Il ruolo determinante delle specie batteriche parodontopatogene è stato ulteriormente chiarito nei suoi rapporti con i fattori individuali, genetici ed immunitari, predisponenti alla parodontite.
Ai tradizionali parametri diagnostici e clinici si sono aggiunti quelli di laboratorio, prevalentemente microbiologici e genetici, che permettono di stabilire un piano di terapia attiva e di supporto più efficace in senso individuale: la conoscenza dei fattori di rischio genetici, ambientali e patologici, in particolare, è la premessa per identificare le fasce di pazienti predisposti alla parodontite.

L’approfondimento dei principi biologici della guarigione della ferita parodontale ha permesso di ottenere la rigenerazione dei tessuti parodontali in modo predicibile, ma soprattutto di chiarirne le reali indicazioni.
Un capitolo nuovo che, negli ultimi anni, ha avuto un grande sviluppo è quello della medicina parodontale, che si riferisce al ruolo della parodontite nel condizionare ed aggravare patologie sistemiche come quella cardiovascolare, il diabete, il parto prematuro.
Questi contenuti fanno sì che questo libro sia indirizzato non solo agli studenti di Odontoiatria e Medicina ma anche al laureato quale utile testo di consultazione.

Potete consultare il libro in versione virtuale cliccando sul link qua sotto.
PATOLOGIA E CLINICA DELLA MALATTIA PARODONTALE

Buona lettura!



Prefazione di:
Dr. Giancarlo Valletta
Dr. Sergio Matarasso
Dr. Eduardo Bucci
Tratto da: Piccin

Scaling e Root planing


In tema di placca batterica e tartaro è doveroso parlare, sia pur brevemente, di curettage, scaling e root planing

Non è possibile descrivere una tecnica dettagliata per tutto ciò che riguarda la strumentazione sottogengivale. L’unico modo per imparare bene queste tecniche è l’addestramento clinico. Trovo tuttavia utile dare delle “istruzioni di base”. C’è molta confusione per quanto riguarda la terminologia.

Anzitutto la detartrasi mira a rimuovere la placca e il tartaro sopra e sotto gengivale. Può avvenire con una tecnica chiusa, ossia senza visione diretta o una tecnica aperta, ossia con esposizione dei tessuti da trattare, tramite lembi. La scelta dipende dalla gravità della malattia Parodontale, dalla situazione locale e la si può scegliere solo dopo accurata valutazione clinica-strumentale (sondaggio parodontale). Si usano curette, falcetti, zappette, scalpelli e lime.

Il termine Scaling (letteralmente, dall’inglese, significa togliere squame, concrezioni dure, residui) significa rimuovere tartaro.
Il termine Curettage indica il procedimento di levigatura o “raschiatura” che può avvenire sulla radice per rimuovere il cemento necrotico e allora si parla di Curettage radicolare, o sulla superficie sulculare della gengiva per rimuovere i tessuti molli, allora si parla di Curettage gengivale.

Il termine Root Planing indica proprio l’azione di “piallare” la radice, ossia di levigarla, renderla liscia e dura. È un termine Statunitense molto “colorito”. In pratica, più o meno sarebbe sinonimo di Curettage radicolare.

La curette viene inserita nella tasca con la parte tagliente quasi parallela alla superficie radicolare. Viene raggiunto il fondo in questa posizione.
A questo punto viene ruotata con la parte tagliente contro la radice e si rimuove il tartaro o il cemento necrotico, con colpi decisi e brevi in senso apico-coronale.

Strumentazione nell’arcata inferiore.Lo strumento è impugnato nella cosiddetta “presa modificata della penna”, in cui un dito funziona da appoggio per fare fulcro stabile e rendere possibile il movimento breve e secco del polso – avambraccio.
Strumentazione nell’arcata superiore, come in quella inferiore. Se il dente da trattare è molto mobile è consigliabile immobilizzarlo con la mano sinistra durante la strumentazione per assorbirne, almeno in parte, i traumi.

L’importanza del Curettage, Scaling e Root Planing è essenziale, insieme alla rimozione di tutti i fattori che favoriscono la ritenzione della placca batterica, nella terapia iniziale, ossia causale della malattia parodontale.

Solo dopo una accurata preparazione iniziale, è possibile infatti un’attenta rivalutazione delle condizioni gengivali, ossee, della profondità delle tasche parodontali, della mobilità dei denti, della “raggiunta motivazione” del paziente e della sua capacità e volontà nel mantenere con l’igiene la nuova condizione di salute. Il risultato di questa fase di preparazione iniziale, costituisce la base per chiarire e pianificare gli eventuali procedimenti terapeutici parodontali definitivi.



Tratto da: Dentisti Italia

giovedì 5 marzo 2009

La visita parodontale - Parte 2

Segue dall'articolo precedente

PREPARAZIONE INIZIALE PARODONTALE

- Ablazione Tartaro con Ultrasuoni o altre metodiche previa copertura antibiotica per ovvi motivi di Poussès di microbi.
- Curettage e Scaling ricordando che:
Scaling: rimozione del tartaro molto duro “sfuggito alla Ablazione con ultrasuoni o altro”.
Curettage gengivale: rimozione dei tessuti molli della tasca parodontale.
Curettage radicolare: rimozione dei tessuti (cemento) necrotici della radice.
Root Planing: esasperazione propria dell’ “American Slang”, del concetto di curettage radicolare
E' preferibile , la prima volta, farla a cielo coperto subito dopo l’Ablazione Tartaro a Ultrasuoni e la lucidatura dei denti. È meno traumatizzante e rendiamo le gengive più “trattabili” chirurgicamente, poi in sede di Rivalutazione si deciderà come proseguire!
Il curettage e Scaling è meglio farlo con gli strumenti a mano, Curette, Scaler, etc e non con il Laser o altro perché è ESSENZIALE, che io, operatore chirurgo, abbia una visione tridimensionale mentale da comparare al sondaggio parodontale che solo la sensazione tattile della curetta nella tasca contro i tessuti molli, duri del cemento e duri dell’osso, può dare. Questo è essenziale per arrivare ad una corretta Diagnosi ed emettere una altrettanto corretta Prognosi. Insomma devo poter mantenere viva ed in allerta tutta la mia “Capacità di Clinico Medico e Parodontologo”

- Impronte per costruire i modelli di studio e presa dell’Arco Facciale di Trasferimento: i due punti di repere posteriori si ottengono inserendo i terminali dell'arco nei meati acustici esterni; il terzo punto di repere anteriore e individuato dal supporto glabellare, che definisce la posizione verticale anteriore dell'arco stesso.
In questo modo si definisce il piano di riferimento asse cerniera-piano orbitale. Una forchetta a ferro di cavallo consente di mettere in rapporto l'arcata superiore con l'arco facciale. In conclusione, trasferiti in tal modo i modelli maestri su un articolatore, possiamo orientare i modelli delle arcate rispetto al cranio e studiare l'inclinazione dei tragitti condilari e dell'angolo di Bennet.

- Rx Endorali che chiameremo Studio Valutativo Parodontale: una lastra per 4 incisivi, una per ogni canino, una per i due premolari (tutte queste sono Rx verticali) e una lastra orizzontale per i tre molari ( a volte ne servono due) per un totale di 7/8 Rx ad arcata!

SECONDA VISITA DI RIVALUTAZIONE PARODONTALE
Con tutto ciò che abbiamo rilevato e studiato nella PREPARAZIONE INIZIALE PARODONTALE, si rivaluta ora la “bocca” con gengive certamente non più in Infiammazione Acuta, con le Tasche private del tessuto di granulazione interno che ne falsava la giusta presa delle misure e procediamo ad una visita totale Parodontale come nella Prima visita con la ripresa delle misure delle tasche parodontali, lo studio dei modelli montati su articolatore, lo studio delle radiografie comparando il tutto con lo studio dell’apparato stomatognatico del paziente. In questa sede si procederà anche alla pianificazione della eliminazione di tutto ciò che di irrazionale è in bocca ( restauri conservativi e protesici irrazionali, necessità di immobilizzazione temporanea o definitiva di denti con mobilità superiore al 1°, pianificazione della risoluzione di eventuali disgrazie per le quali si segnerà una ulteriore serie di Visite anche per lo studio Cefalometrico), pianificazione di tutta la conservativa, endodonzia, chirurgia orale, Gengiviti e solo alla fine si pianificherà la “parte di riabilitazione Chirurgica Parodontale!

Arriveremo così ad una diagnosi esatta, ad emettere una Prognosi, ed infine ad un ulteriore colloquio col paziente che sarà reso edotto su tutti i suoi problemi (sottolineando complicazioni, tempi, possibilità di recideve etc.).
Gli si spiegherà col dovuto tatto che la “terapia parodontale”, per la sua importanza e complessità in quanto coinvolge tutta l’Odontoiatria, “DEVE ESSERE MERITATA”, dal Paziente, ossia Egli deve dimostrare di avere imparato saper mantenere un eccellente igiene orale, cambiando o “addolcendo” anche abitudini sbagliate e viziate; sopra a tutte alimentazione, stile di vita e il fumo.
Gli si spiegherà bene che il Curettage e Scaling non è un “optional” ma è un Vero e proprio proseguimento irrinunciabile della terapia Parodontale con scadenze da pianificare a seconda della situazione e a cui dovrà essere sottoposto per tutta la vita e gli si potrà così chiedere un consenso informato scritto, in base alla Sentenza 12.6.1982, n° 3604 della sezione III della Cassazione Civile che ha riaffermato che è necessario il consenso informato del paziente per qualsiasi intervento operatorio, di qualsivoglia entità, eseguito sia ai fini funzionali che estetici.



Tratto da: Dentisti Italia

La visita parodontale - Parte 1

È una visita complessa che richiede almeno un’ora/due ore, compreso un Colloquio col Paziente, seguita da una Preparazione Iniziale dell’apparato Stomatognatico, un rilievo di dati ed eventualmente analisi cliniche, che richiedono almeno ulteriori due/quattro ore ed infine una seconda visita detta Visita di Rivalutazione Parodontale, che richiede due/tre ore in cui si emette una Diagnosi, una Prognosi, un Piano Terapeutico non solo Parodontale ma Totale di tutti i problemi e Patologie presenti!

Quindi la Visita Parodontale si svolge in tre tempi: la prima visita parodontale, la preparazione iniziale parodontale e la seconda visita di rivalutazione parodontale e totale odontoiatrica.
Entrambe le visite sono seguite da un accurato “colloquio” col Paziente.

PRIMA VISITA PARODONTALE
-Anamnesi Clinico-Medica generale
- Anamnesi Odontoiatrica
- Visita Soggettiva
- Visita Oggettiva

Visita Oggettiva
- Si inizia con l’esame Gnatologico. Devono essere rispettati i concetti basilari della gnatologia: rapporto corretto cuspide-fossa, occlusione reciprocamente protetta, contatto simultaneo massimo tra tutti i punti di centrica in posizione di relazione centrica, una corretta guida incisiva e una sufficiente disclusione canina dei denti posteriori nei movimenti di lateralità (benché, se fosse gia presente una funzione di gruppo in assenza di segni di trauma o sofferenza parodontale, potrebbe essere accettabile anche il mantenimento della funzione di gruppo posteriore). Si ricercano così i denti in trauma d’occlusione.
- Valutazione Gnatologiche-Ortodontiche : Classi Dentali di Angle, a livello dei primi molari e dei canini, I Cl.Dentale, II Cl. Dentale (e se in I o in II Divisione), III Cl., Overbite e quindi se c’è deep bite, Overjet e quindi se è presente un open bite. Curva di Spee e di Wilson per il piano occlusale rispettivamente sagittale e frontale, Rotazioni, Inclinazioni, Estrusioni, Intrusioni.
- Visita Articolazione Temporo Mandibolare: Rilevando se sono presenti Algie, Scrosci, Click, Sublussazioni, Contratture dei muscoli in particolare Massetere e soprattutto lo Pterigoideo.
- Valutazione delle Gengive : Aspetto, consistenza, Parulidi, Igiene Orale, Placca batterica, Tartaro, Sanguinamento Spontaneo, Sanguinamento al Sondaggio Parodontale, Gengivite Marginale, Recessioni Gengivali, Insufficienza di Gengiva Aderente.
- Valutazioni Parodontali Specifiche: Mobilità Dentale di 1°,2°,3° , Lesioni delle forcazioni, 1°Cl.,2°Cl.,3°Cl., Valutazione della presenza di manufatti Conservativi o Protesici o Legature Parodontali Irrazionali, Sondaggio Parodontale e se c’è dolore e sanguinamento al sondaggio.
- Sondaggio Parodontale: si sondano tutti i denti a partire, personalmente, dagli ultimi denti posteriori sinistri, dell’arcata inferiore, dalla Superf. Vestibolare (Disto Vestib., Centro Vestib., Mesio Vestib.) proseguendo poi sullo stesso dente dalla Superf. Linguale (Disto Ling., Centro Ling., Mesio Ling.) e si passa al dente contiguo fino a sondare tutta l’arcata…poi si passa a quella superiore allo stesso modo e nello stesso ordina. In questo modo io rilevo la misura e l’assistente la scrive direttamente sul cartellino, velocizzando l’operazione! Queste misure poi verranno riportate su carta millimetrata per disegnare le tasche parodontali.
- Programmazione della eventuale Preparazione Parodontale Iniziale: Ablazione Tartaro e Lucidatura dei denti, Curettage e Scaling sotto adeguata copertura antibiotica, specie in Cardiopatici e Diabetici, ma altamente consigliabile almeno “la prima volta”, Modelli di Studio, Studio valutativo Rx Parodontale e se occorre Conservativo e protesico e ATM, Programmazione della Seconda Visita di Rivalutazione Parodontale specie se in presenza di Gengivite Evidente!
- Colloquio col paziente: Essenziale! Per semplificare e perché sia utile sia al Dentista che al Paziente, trascriverò ciò che dico al mio Paziente a questo punto della Prima Visita Parodontale, dopo averlo fatto accomodare nel mio Studio Privato.

Il granuloma apicale: cos'è e come curarlo

Cosa causa e quali sono le possibili terapie di questa infezione cronica?
Quando ci si reca dal dentista per una visita di controllo, periodicamente viene proposta una ortopantomografia, cioè una radiografia di tutta la bocca, che consente di controllare tutta la componente ossea e aerea dell’apparato stomatognatico. Così si può vedere se vi è una sinusite, se i condili sono alterati nella loro anatomia, se vi sono cisti, carie ed altro, permettendo all’odontoiatra di avere un quadro preciso dello stato di salute dentale del paziente.

Molto spesso il professionista, analizzando la lastra, deve prendere atto della presenza di una patologia particolarmente frequente: il granuloma apicale.
Questa patologia è rappresentata radiograficamente da una semiluna grigia, cioè una radiotrasparenza, che circonda l’apice della radice di un dente. La causa è solo una: l’attività batterica all’interno della radice dentale. I batteri lì presenti producono tossine che fuoriescono dall’apice verso i tessuti circostanti e procurano una reazione infiammatoria che culmina con il riassorbimento osseo periapicale (radiotrasparenza) e la comparsa di tessuto infiammatorio.

Un’attività batterica che generi un granuloma all’interno di una radice dentale è possibile in due casi:
1) nel caso in cui il nervo sia morto spontaneamente;
2) nel caso in cui il dente sia stato in precedenza devitalizzato.

Nel primo caso, la colliquazione dei tessuti nervosi e vascolari trasforma l’interno della radice in una coltivazione batterica pura. Il tessuto in decomposizione è un ottimo terreno di coltura per batteri. Questi e le loro tossine fuoriescono dall’apice, ma in una situazione di salute generale buona, vengono immediatamente bloccati dalle difese immunitarie dell’organismo sano e non possono, per fortuna, diffondersi ad altri organi a distanza limitandosi a dare origine ad una sofferenza apicale. Se non interverrà presto un abile odontoiatra che sterilizzi la radice con una buona cura canalare, il dente sarà perso in breve tempo.

Nel caso del dente già devitalizzato, è proprio la precedente cura canalare che può causare il granuloma. Infatti per quanto l’endodontista che ha eseguito la cura anni prima sia stato attento ed abbia operato con le metodiche adeguate, inevitabilmente avrà una certa percentuale di casi di granuloma. Magari ci vorranno dieci, venti o trent’anni, ma una buona percentuale dei denti devitalizzati svilupperanno questa patologia.
Il motivo può essere vario: per esempio un’anatomia particolarmente difficile, radici con curve molto accentuate, un delta apicale particolarmente diramato, ecc. e per quanto l’operatore sia attento non potrà mai garantire che in quel dente nel tempo non compaia un granuloma. Verrebbe da chiedersi perché allora devitalizzarli? Si continua comunque a devitalizzare un dente compromesso perché è preferibile rischiare di toglierlo forse tra vent’anni da devitalizzato che essere certi di toglierlo subito da devitalizzare!

Il granuloma quando è presente, resta silente per anni. Non da cioè nessun sintomo e molto spesso lo si scopre solo per caso in seguito a controlli radiografici periodici.
Gli antibiotici non sono di nessun aiuto in questa fase cronica. Servono solo se il granuloma, in stati di salute fragili dell’ospite, passa alla fase acuta, cioè origina l’ascesso dentale. In questo caso succede che dall’apice del dente fuoriesce una carica batterica e di tossine particolarmente massiccia sia per quantità che per virulenza che, arrivata nei tessuti circostanti la radice e quindi irrorati dal sangue, può essere attaccata e distrutta dagli antibiotici. Ma al di fuori della fase acuta del granuloma, cioè l’ascesso, questi farmaci non servono a nulla.

Una volta accertata la presenza del granuloma è necessario rimuoverlo. Il motivo che rende necessario rimuoverli è che se le difese immunitarie del paziente per un qualsiasi motivo si abbassano, in modo acuto o subacuto, i batteri che colonizzano l’interno della radice possono passare nel circolo ematico e, attraverso questo, raggiungere ed installarsi in aree decisamente più importanti dei denti: valvole cardiache, reni, fegato, ecc., mettendo a repentaglio la salute del paziente.

Le tecniche per rimuovere il granuloma sono tre:
- trattamento endodontico: consiste nell’andare a rimuovere il vecchio materiale da otturazione canalare, detergere l’interno del dente e sterilizzarlo. Non sempre è possibile. Se per esempio, già dalla radiografia si vede che la cura canalare è buona o che non è visibile il tratto di radice vuoto dove possono annidarsi i batteri, è possibile che questa tecnica non sia sufficiente. Si può allora associare o sostituire con l’apicectomia;
- apicectomia: consiste nel fare una breccia ossea all’altezza dell’apice del dente incriminato e rimuoverlo avendo cura di eseguire un’otturazione della radice decapitata. Anche questa tecnica non è sempre applicabile per motivi anatomici. Per esempio la radice palatina del sesto dente superiore entra molto spesso nel seno mascellare rendendo sconsigliabile l’apicectomia;
- estrazione dentale: quando le due tecniche precedenti non sono applicabili resta solo l’estrazione associata ad una pulizia chirurgica del sito che risolve radicalmente il problema.

Concludendo: i granulomi, che normalmente sono silenti, una volta scoperti vanno eliminati. Il rischio, infatti, è che nel tempo diventino causa di "infezione a distanza" di organi vitali.




Tratto da: Dentisti Italia

La chirurgia dell'allungamento di corona clinica

L’allungamento di corona clinica viene eseguito per motivi ricostruttivi o protesici.
Ad esempio se un elemento dentario è cariato o fratturato sotto la linea gengivale o presenta un’insufficiente altezza per essere ricostruito con una corona o un ponte l’allungamento di corona clinica espone la struttura dentaria cosicché possa essere ricostruito.

Tecniche di chirurgia plastica parodontale o di chirurgia osseo resettiva sono eseguite anche con finalità estetiche. Esistono procedure per migliorare il cosiddetto “gummy smile” o sorriso gengivale quando i denti appaiono troppo corti. I denti potrebbero essere di una lunghezza naturale ma coperti da gengiva o addirittura tessuto osseo.

Per migliorare l’aspetto di questi pazienti si può eseguire l’allungamento di corona clinica estetica. Durante questa chirurgia l’eccesso di gengiva e di tessuto osseo vengono ricontornati ed armonizzati per esporre la naturale lunghezza dei denti.
Questo intervento può estendersi da un dente all’intera arcata dentaria al fine di cambiare totalmente l’estetica del sorriso e la fisionomia facciale.

Quali sono i benefici della chirurgia di “allungamento di corona clinica”?
Migliora l’estetica e la salute del sorriso ma permette anche la ricostruzione protesica degli elementi dentari. Aumenta quindi il comfort nel sorridere, mangiare e parlare, in un’unica parola la vita relazionale e sociale del paziente.



Tratto da: Tabanella Implantologia

La chirurgia rigenerativa

La chirurgia rigenerativa consiste nel ricostruire il tessuto osseo e gengivale che è andato perso a seguito della malattia parodontale o di altri processi patologici.

L’indicazione primaria alla chirurgia rigenerativa sono i difetti ossei molto profondi. La tecnica consiste nell’utilizzare un innesto che viene poi ricoperto dai tessuti gengivali o da membrane protettive. L’innesto utilizzato in genere è osso autologo, cioè appartenente allo stesso paziente, o innesti sintetici prodotti in laboratorio che vengono poi ad essere sostituiti da tessuto osseo in pochi mesi.

Quali sono i benefici della “chirurgia rigenerativa”?
Il principale vantaggio è la ricostruzione del tessuto che è andato perso a causa della parodontite o di altri processi patologici. Conseguenza della rigenerazione è la riduzione della profondità delle tasche e una diminuzione o risoluzione completa delle recessioni gengivali.




Tratto da: Tabanella Implantologia

La chirurgia osseo resettiva

Solo nei casi di parodontite avanzata e solo dopo la fase iniziale non chirurgica è indicato il trattamento chirurgico della parodontite.
Nel caso di parodontite avanzata, il tessuto osseo e gengivale che sostiene gli elementi dentari è distrutto e le tasche parodontali si approfondiscono creando uno spazio più largo dove i batteri possono proliferare.

Anche se il paziente ha un’ottima igiene orale, la terapia chirurgica è indicata poiché le manovre di igiene domiciliare non permettono di posizionare le setole dello spazzolino al di sotto della gengiva per più di 0.8mm.
Qualora non si intervenisse chirurgicamente, le tasche tenderebbero ad approfondirsi, l’osso alveolare a riassorbirsi e qualora questa perdita fosse notevole, l’estrazione potrebbe essere l’unica terapia possibile.

L’approccio chirurgico consiste nel rimuovere il tessuto malato (la tasca) e nel ricontornare i tessuti molli (gengive) e duri (osso alveolare) al fine di ottenere un’anatomia che permetta l’eliminazione permanente delle tasche, dei difetti ossei (crateri), e di favorire le manovre di igiene domiciliare. La tecnica chirurgica, nota come “Chirurgia osseo resettiva”, ha subito dei cambiamenti notevoli negli ultimi anni al fine di poter eliminare la patologia parodontale pur conservando un aspetto gengivale il più estetico ed atraumatico possibile.

Quali sono i benefici delle “Chirurgia osseo resettiva”?
Principale vantaggio della chirurgia osseo resettiva è la riduzione delle tasche parodontali, dei difetti ossei peri-dentali, dei batteri responsabili della parodontite e della sua progressione, ed il mantenimento quindi degli elementi dentari e di un sorriso sano. La sola eliminazione dei batteri, come avviene nella terapia non chirurgica, non è sufficiente per prevenire recidive.
Tasche profonde sono impossibili da pulire per il paziente, quindi è importante ridurle cosicché il paziente possa mantenere gengive e denti sani con l’igiene domiciliare ed il mantenimento professionale. Un parodonto sano permette di mantenere i denti nel tempo e di prevenire eventuali patologie sistemiche (ad esempio patologie cardiovascolari, diabete, etc.).



Tratto da: Tabanella Implantologia

L'allungamento di corona clinica

La presenza di una carie estesa in direzione corono-apicale ovvero in senso verticale verso la radice del dente esita in una distruzione del dente che può presentare serie problematiche dal punto di vista restaurativo. Infatti, ogni volta che si ricostruisce un dente sia protesicamente che non, occorre che i margini del dente o della cavità residua siano ben identificabili al di fuori dei tessuti gengivali e soprattutto costituiti da tessuto dentale sano e ben calcificato.

L'allungamento di corona clinica consente, in tutte quei contesti in cui il bordo del dente si trova in posizione sottogengivale in prossimità della cresta ossea, di recuperare la radice o il margine cavitario per realizzare una corretta ricostruzione.

In ultimo l'allungamento di corona clinica, può risultare utile per correggere una ridotta altezza dei denti destinati a ricevere delle corone protesiche e/o per correggere l'estetica di un sorriso in cui prevale l'ampiezza dei tessuti gengivali rispetto a quella dei denti.

1) RECUPERO DI UNA RADICE GRAVEMENTE COMPROMESSA
- Incisivo laterale elemento di un ponte che accusa qualche piccolo movimento
- L'incisivo laterale è stato interamente distrutto dalla carie: rimane solo un perno metallico con della resina
- Assenza del margine radicolare: in blu è indicata l'unica porzione di dente residua

- La radiografia conferma la necessità di un allungamento di corona clinica per recuperarne il margine radicolare
- In giallo il profilo osseo, in blu il margine radicolare ed in rosso il contorno gengivale
- Allungamento di corona clinica e recupero del margine radicolare nella sua interezza

- A guarigione avvenuta, la radice è ora pronta per il ritrattamento endodontico e la ricostruzione
- Ritrattamento canalare in corso: l'allungamento di corona consente un isolamento corretto del dente
- Radiografia di controllo una volta ultimato il ritrattamento endodontico e la ricostruzione


2) RECUPERO DEI MARGINI RADICOLARI ED INCREMENTO DELL'ALTEZZA DEI MONCONI

-CASO 1-
- Protesi fissa in sede che deve essere sostituita per presenza di carie e di problemi parodontali
- Rimozione della protesi: assenza dei margini radicolari e ridotta altezza dei monconi
- Recupero di tessuto dentale sano a livello marginale ed incremento dell'altezza dei monconi protesici

-CASO 2-
- Radici devitalizzate dopo il distacco delle capsule protesiche
- In blu è indicato il presunto margine radicolare. Notare il cattivo stato di salute della papilla interdentale
- Nuovo stato di salute gengivale e recupero del margine reale di chiusura delle capsule sulle radici


3) RECUPERO DEL MARGINE IN UNA CARIE CHE SI ESTENDE IN DIREZIONE SOTTOGENGIVALE
- Il bordo posteriore di questo molare inferiore si trova ad un profondità sottogengivale non restaurabile
- In giallo il profilo gengivale, in blu il margine del dente vicinissimo al profilo della cresta ossea in rosso
- Tecnica del cuneo distale per recuperare il margine del dente posteriormente

- Dopo 15 giorni dall'intervento il dente è pronto per la ricostruzione
- Il margine radicolare è ora completamente accessibile al di fuori dei tessuti gengivali




Tratto da: Chirurgia Orale