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giovedì 12 marzo 2009

Implantologia: Impianti lunghi e complicanze

Si riteneva negli anni passati che il posizionamento degli impianti di lunghezza elevata portasse migliori risultati clinici a medio e lungo termine, ma queste convinzioni sono state smentite con studi in vitro ed in vivo per i quali non si evidenziano reali vantaggi: la parte coronale degli impianti lunghi rimane più stressata di quella apicale, che rimane integrata.

Nella Rivista italiana di Stomatologia, il Prof. Bacci ed il Dott. Castagna hanno studiato in due casi distinti quanto l'appiclazione di impianti lunghi può portare a complicanze. Il primo è una lateralizzazione del nervo alveolare inferiore, l'altro è il posizionamento di impianti con ancoraggio mandibolare bicorticale.

Nel primo caso si utilizza una tecnica che consente di posizionare impianti endoossei in siti mandibolari fortemente atrofici. La lateralizzazione dell'alveolare inferiore tuttavia può portare a varie complicanze neurologiche o a fratture mandibolari (rare). I 4 impianti dovevano essere rimossi perchè avevano perso completamente l'integrazione nella parte coronale, mentre erano perfettamente integrati all'apice.
Il secondo caso invece vedeva una tecnica, quella dell'ancoraggio bicorticale degli impianti, che garantisce un'ottima stabilità primaria ma che, nel caso studiato, aveva causato un riassorbimento osseo così ingente da costringere gli operatori a togliere gli impianti con una tecnica minimamente invasiva. Per questo è stata necessaria l'osteotomia con piezosurgery.

In conclusione, in implantologia, il posizionamento di impianti molto lunghi spesso dà come conseguenza il fallimento a livello coronale mentre la parte apicale dell'impianto si integra alla perfezione.
Il piezosurgery s'è dimostrato indicato per la rimozione degli impianti permettendo una linea osteotomica precisa e garantendo il rispetto delle strutture nervose.
Quindi è evidente che l'impiego di impianti lunghi può causare diverse problematiche senza dare reali vantaggi.



Tratto da: Rivista Italiana di Stomatologia - N°3 anno 2008

Il paziente diabetico


Il diabete mellito è un gruppo di malattie metaboliche caratterizzate da iperglicemia causata da difetti della secrezione d'insulina, della sua azione o entrambi.
La diagnosi di diabete è possibile a seguito del riscontro di almeno una delle seguenti condizioni:
- Glicemia a digiuno > 140 mg/dl
- Glicemia durante il giorno > 200 mg/dl
- Glicemia > 200 mg/dl con test di tolleranza al glucosio.
I sintomi sono poliuria, polidipsia e perdita di peso senza causa apparente. Esistono il diabete tipo 1 ad esordio giovanile ed il diabete tipo 2 non insulino-dipendente, che ha esordio tardivo nell'adulto.

In odontoiatria, le cure attuabili per un paziente diabetico possono essere l'igiene e la profilassi, la conservativa, l'endodonzia, la protesi, l'ortodonzia, mentre la chirurgia orale e l'implantologia sono da eseguire con cautela. Come? Seguendo alcune precauzioni.
- Contattare il medico curante per avere maggiori informazioni;
- Avere un glucometro per misurare la glicemia prima dell'intervento e, in caso di clisi ipoglicemica, somministrare glucosio;
- Programmare l'intervento in prima mattinata dopo la colazione e l'assunzione dei farmaci, per evitare una crisi ipoglicemica;
- Considerare che l'adrenalina rilasciata in interventi del genere fa diminuire la glicemia;
- Considerare che l'adrenalina della tubofiala non fa diminuire la glicemia;
- Prescrivere terapia antibiotica sistemica prima e dopo l'intervento;
- Informare il paziente che, nel caso di interventi chirurgici complessi, potrebbero verificarsi episodi nel periodo postoperatorio per i quali dovrà modificare la dieta e di conseguenza il tipo di terapia.

Durante un intervento odontoiatrico possono verificarsi ipoglicemia o iperglicemia, di cui potete trovare maggiori informazioni qui:
- Ipoglicemia
- Iperglicemia
E che si curano somministrando glucosio nel primo caso ed effettuando un'infusione salina per reidratare nel secondo.

Ortodonzia: Arco sezionale semplificato per i canini superiori palatizzati

E' possibile trovare denti che vanno fatti muovere in strati di osso denso, per i quali è indispensabile l'uso di forze leggere per ridurre l'attività degli osteoclasti ed evitare la riduzione del flusso sanguigno.
Applicando delle piccole legature elastiche ad un canino atopico, è possibile muoverlo, sì, ma le forze potrebbero risultare troppo elevate che provocano spostamenti insignificanti o addirittura non provocano alcuno spostamento. Invece, l'uso di un arco rigido tende a costringere gli altri denti e non riesce ad allineare il canino.

Per ovviare a questi problemi, si può bandare i primi molari superiori ed unirli con una banda transpalatale: si salda un tubo sulla banda del lato sul quale bisogna allineare il canino e, dopo aver fissato con un piccolo occhiello il canino, si costruisce un arco sezionale col filo.
Il gancio permette il fissaggio del canino mentre la spirale all'uscita del tubo ne incrementa elasticità e raggio d'azione; l'arco, distalmente, è curvo verso l'indietro, in modo da poter essere sia rimovibile che riattivabile, ma permette anche di prevenire qualsiasi disalloggiamento.

Questa applicazione dell'ortodonzia ha ormai dimostrato la sua validità ma a volte l'arco rigido può diventare necessario nel caso si voglia aumentare torque e upright della radice del canino.
Possiamo anche applicare alcune modifiche, tra le quali:
- favorire l'eruzione del canino attivando sezionalmente la parte distale;
- utilizzare una trazione con l'aggiunta di un secondo tubo per mantenere o creare spazio;
- correzione della rotazione dei molari con l'uso di quad-elix.



Tratto da: Bollettino Leone 04/2007

lunedì 9 marzo 2009

La stabilità implantare

La stabilità di un impianto è determinante per la riuscita del trattamento implantare, specie se la riabilitazione avviene secondo la procedura di carico immediato.
Nell'articolo della rivista Implant Tribune Italia, il dottor Vanden Bogaerde definisce i criteri che determinano il successo di un trattamento implantare.

Prima fra tutte, le condizioni dell'osso alveolare: la quantità in senso verticale e orizzontale dell'osso va sempre verificata, ma anche la qualità di quest ultimo è importantissima per la riuscita della terapia. E' importante infatti trovare una qualità d'osso che possa non essere troppo compatta ma neanche troppo midollare.
Altre condizioni che determinano il successo o l'insuccesso sono senza ombra di dubbio una corretta guarigione che porta all'osteointegrazione e questo è possibile anche grazie alle nuove superfici implantari ruvide che permettono anche di eseguire una protesizzazione a carico immediato (con l'obbligo però di stare molto attenti nel seguire rigorosamente il protocollo operativo).
Infine, l'igiene orale è l'ultima determinante per la riuscita del trattamento implantare.

La stabilità primaria è garantita innanzi tutto dalla morfologia dell'impianto. Diversi studi ad esempio hanno dimostrato la maggior stabilità di impianti con fixture di forma conica anzichè cilindrica, mentre non ha particolare rilevanza la superficie implantare se non nelle settimane successive all'inserimento dell'impianto: è preferibile infatti utilizzare superfici implantari ruvide che favoriscono una miglior osteointegrazione.

La stabilità secondaria invece si viene a verificare nelle settimane successive, quelle in cui si verificano tutti quei fenomeni infiammatori e processi di riassorbimento osseo che danno luogo ad un lento processo di osteointegrazione.



Tratto da: Implant Tribune Italia - N° 3 - Settembre '08

Terapia parodontale non chirurgica

La terapia parodontale non chirurgica ha come obiettivo principale quello di provare a far guarire il parodonto senza fare interventi di chirurgia parodontale.

I cardini della terapia parodontale non chirurgica sono l'educazione del paziente ad una corretta igiene orale e la levigazione radicolare. Ci sono degli studi che testimoniano come sia sufficiente una rimozione costante della placca radicolare per ridurre di molto la profondità di sondaggio delle tasche parodontali. Sono inoltre significativi anche i risultati che si ottengono anche dopo una singola strumentazione radicolare sulla composizione della flora batterica subgengivale.

I parametri misurabili per valutare l'efficacia di una terapia parodontale sono:
1) Livello di attacco clinico.
2) Profondità delle tasche.
3) Sanguinamento al sondaggio.
4) Flora microbica subgengivale.
Gli studi fatti dimostrano che, nonostante la chirurgia parodontale sia preferibile per ottenere risultati a breve termine, su lunghe distanze di tempo i risultati di una terapia parodontale non chirurgica diventano quasi uguali a quelli di una terapia chirurgica. Quasi tutta la letteratura è concorde su questo.

C'è da ricordare, inoltre, che nelle tasche con profondità di sondaggio > 7mm è più facile ottenere una riduzione della profondità rispetto a quelle < 3mm, in cui si riscontra sempre una certa perdita di attacco.



Tratto da: Rivista Italiana di Stomatologia - n° 4 anno 2008

sabato 7 marzo 2009

Terapia farmacologica della parodontite

La parodontite nasce per una serie di cofattori di cui, come abbiamo visto, solo due sono di fondamentale rilevanza: i batteri ed il sistema immunitario dell'ospite. Per questo è possibile utilizzare sostanze antimicrobiche sia per via sistemica che topica.
L'antibiotico, nel caso di malattia parodontale, deve essere presente sia nei tessuti che a livello delle tasche parodontali, e questo tipo di trattamento non può prescindere dalle fasi iniziali della terapia parodontale, vale a dire scaling e root planing.

AGENTI ANTIMICROBICI SISTEMICI
Si rivelano molto efficaci soprattutto nei casi di gengivite ulcero necrotica avanzata o di parodontite refrattaria, in pazienti in cui la malattia parodontale è particolarmente estesa (es: pazienti affetti da AIDS).
Si utilizzano diversi antibiotici tra cui: amoxicillina, metronidazolo, tetraciclina.
Tuttavia, è difficile capire quale sia la terapia corretta visto la difficoltà nel localizzare l'agente infettivo responsabile della parodontite.
Vi sono molti studi, effettuati da medici come Winkelhoff e Coll. e come Haffaje e coll, in cui viene dato peso rilevante all'amoxicillina associata a metronidazolo e tetraciclina per combattere un range di specie batteriche considerate tra le più comuni della malattia parodontale.

TERAPIA ANTIMICROBICA LOCALE
Alcuni autori pensano che una terapia sistemica sia eccessiva e possa portare effetti collaterali, ma soprattutto che solo una minima parte dell'antibiotico raggiunga le tasche.
Meglio quindi optare per terapia locale, in cui si utilizzano fibre di tetraciclina e metronidazolo gel.
Soprattutto il secondo è molto efficace verso alcune delle specie batteriche più comuni, viene assorbito dalla mucosa e rilasciato lentamento per 24h.

Malattia parodontale e parodontite

La malattia parodontale è costituita da un gruppo di patologie che ha come primo colpevole l'accumulo di placca batterica, che sfocia poi in un processo distruttivo del parodonto che si traduce nella perdita dell'attacco parodontale e nel riassorbimento osseo. Le cause fondamentali sono due:
- I batteri patogeni;
- Il sistema immunitario dell'ospite.
Infatti, la malattia parodontale si può classificare ulteriormente come gengivite o parodontite a seconda dello stato e dell'estensione dell'infiammazione.
Si passa infatti da una lesione gengivale iniziale, in cui si ha un infiltrato infiammatorio in seguito all'instaurarsi della placca per almeno 24h, ma senza sintomatologia sulla gengiva. Quando la lesione gengivale diventa precoce, vale a dire dopo 7 gg dalla permanenza di placca, aumenta l'infiltrato infiammatorio e il margine gengivale comincia a calare leggermente. Infine la lesione si stabilizza circa dopo 28 gg ed è questo il momento in cui si ha la manifestazione di tutti i fenomeni infiammatori. Questa fase è considerata anche come fase prodromica della parodontite.

La parodontite si manifesta quando l'infiammazione arriva a coinvolgere legamento e osso alveolare, che si riassorbe e quindi fa venire meno il supporto alle radici.
Esistono diversi tipi di parodontite:
- Parodontite cronica;
- Parodontite giovanile;
- Parodontite aggressiva;
- Parodontite ulcerativa necrotizzante;
- Parodontite associata a malattie sistemiche;
- Parodontite refrattaria.
Secondo gli studi, la parodontite è collegata solamente ad una piccolissima parte delle oltre 400 specie batteriche che colonizzano il cavo orale, ed il processo infettivo avviene solo quando si verificano eventi di associazione che determinano una risposta immunitaria insufficiente, da cui deriva la malattia parodontale che però dovrebbe poi poter essere eliminata con l'eliminazione dell'agente patogeno.

Quindi si capisce che, secondo i più recenti studi di parodontologia, il manifestarsi della malattia parodontale non dipende solo dall'esistenza di alcuni ceppi patogeni, ma anche di una serie di circostanze che tendono a favorirne l'insorgenza.



Articolo tratto dal numero 4, anno 2008 della Rivista Italiana di Stomatologia.

venerdì 6 marzo 2009

Trattamento endodontico con MTwo®


Fin dall'introduzione della tecnica crown down e degli strumenti in Ni-Ti s'è sempre cercato di rendere più efficace il loro taglio e di giungere a valori di conicità più elevati di .02.
Gli ultimi arrivati nel panorama dell'endodonzia sono gli strumenti MTwo®, caratterizzati da un'innovativa sequenza di diametri e conicità in punta:
10/.04, 15/.05, 20/.06, 25/.06.

Grazie a questi quattro strumenti, che sono la base, si può effettuare una preparazione a conicità finale di .06.
Li troviamo in due lunghezze diverse, 21 e 25, ed hanno queste caratteristiche peculiari:
- Massima ampiezza degli scarichi
- Riduzione al minimo del punto di contatto radiale
- Due taglienti
- Lame molto affilate
- Passo crescente in direzione distale
- Punta arrotondata
- Gambo per contrangolo con testina piccola
Il particolare disegno delle lame conferisce una particolare capacità di taglio unita alla capacità di percorrere le curve del canale senza tendere a raddrizzarsi. Gli ampi spazi tra le spire consentono una miglior rimozione del materiale patologico e, grazie alle misure in punta e alla particolare successione della conicità, allo strumento è possibile seguire al meglio le curvature insieme ad incredibili doti di sondaggio.
Ad oggi, per via della sua piccola dimensione in punta, gli MTwo
® sono gli unici strumenti che permettono di effettuare il trattamento endodontico senza l'utilizzo di strumenti manuali atti ad allargare preventivamente il canale. Infatti, partendo dallo strumento con minor diametro in punta e andando via via a preparare il nostro "cono" secondo la tecnica crown down, otteniamo una conicizzazione graduale del canale, l'eliminazione di ostacoli nel tragitto fino a che non riusciremo a sondare alla perfezione la lunghezza di lavoro.

In cosa si differenziano gli MTwo
® dagli altri strumenti in Ni-Ti presenti sul mercato?
Essi consentono di effettuare una preparazione solo ed esclusivamente meccanica.
Nelle preparazioni miste tradizionali il momento di usare gli strumenti in Ni-Ti arriva dopo che il canale è stato preparato manualmente, con una sequenza ridotta rispetto alle preparazioni tradizionali, ma pur sempre importante.
La prima fase manuale nella preparazione con altri strumenti viene utilizzata per ovviare alle difficoltà di progressione che gli stessi strumenti Ni-Ti a conicità aumentata
presentano nell’alesare un canale sottile e curvo (questo perchè hanno un diametro della punta che generalmente è di 20 o 25).
Una volta allargato sufficientemente il canale, si passa quindi alla strumentazione meccanica.
Dopo aver portato un 20 o addirittura un 25 manuale in apice, particolarmente in un canale stretto e tortuoso, gran parte della mia preparazione sia già stata eseguita; e buona parte del tempo lo si impiega proprio in questa fase.
Ma con gli MTwo® i tempi vengono ridotti drasticamente, e questo proprio per via della loro diversa conicità e del loro diamentro in punta minore a qualsiasi altro strumento in Ni-Ti presente sul mercato.

Da provare.




Tratto da: AmicidiBrugg.it

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Permettiamo a chi vuole inserire articoli di poterlo fare in maniera totalmente gratuita riguardanti i seguenti argomenti:

- Odontoiatria generale;
- Chirurgia Orale;
- Implantologia;
- Endodonzia;
- Parodontologia.

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Endodonzia: la tecnica Crown Down

Il successo di un trattamento endodontico dipende in larga misura dalla qualità del sigillo che noi riusciamo a fare con le nostre otturazioni canalari nello spazio endodontico che preventivamente è stato deterso e preparato a misura di terapia.

Seguendo una serie di passaggi è possibile prevedere un buon risultato del trattamento endodontico:
- La cavità d'accesso, se ben fatta, garantisce un accesso completo al sistema dei canali radicolari.
- E' importantissimo che la forma della preparazione sia progressivamente conica, pena l'instaurarsi di punti a forma di clessidra che lasciano spazi in senso apicale che non sono detergibili e che non permettono di sfruttare al meglio il sistema di forze applicato sulla compressione della guttaperca.
- La rimozione della dentina solo in zone prestabilite permette di ottenere una riduzione della risposta elastica e quindi di far lavorare meglio li strumenti.
- Bisogna cercare di favorire la conservazione delle strutture nelle parti anatomiche più delicate come la zona periapicale.

Per soddisfare questi parametri è necessario stare attenti sempre alla forma del cono che noi andiamo a preparare. Secondo la tecnica di Schilder il canale di partenza doveva essere delle minime dimensioni utili, ma l'utilizzo dell'epoca degli strumenti in acciao permetteva solo un approccio di tipo step-back.

Negli anni successivi venne invece introdotta la tecnica della preparazione in senso corono-apicale, che era l'esatto opposto delle tecniche ideate da Schilder, preparando utilizzando gli strumenti più piccoli per poi consentire il passaggio a quelli di diametro maggiore.
I K-File dovrebbero infatti introdursi fino a dove lo strumento arriva, evitando le forzature in direzione apicale.
Secondo queste tecniche la lunghezza di lavoro non viene determinata in vari passaggi, ma dopo la preparazione definitiva avremo la reale lunghezza di lavoro. Invece, secondo le tecniche step-back era necessario controllarla quasi ad ogni passaggio.

Pian piano questo modo di lavorare è diventata la prassi, e con l'introduzione degli strumenti in nichel titanio la tecnica Crown Down si è rivelata utile anche per creare quell'effetto serbatoio a livello coronale utile all'operatore per detergere meglio.



Tratto da: Amicidibrugg.it